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Archive for the ‘politica’ Category

Decrescita Felice

Decrescita Felice

Ascolto Caterpillar, ergo conosco il movimento Decrescita Felice. E ne penso tutto il bene possibile. Decrescere in ultima istanza vuol dire vivere (felicemente) consumando meno e anche buttando meno.

Sono contento che organizzino dal 29 maggio al 1 giugno 2009 MDF-FEST, quattro giorni di festa, incontri, laboratori, dibattiti attorno ai temi del movimento.

Quindi mi sembra bene rilanciare l’invito a discutere insieme l’organizzazione della Festa e il coinvolgimento dei singoli circoli in una riunione il 7 Febbraio (11.00-16.00) a Bologna presso il quartiere San Vitale, in vicolo Bolognetti (traversa di via San Vitale). 

(danielegouthier)

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ANSA – ROMA – 20/10/2008 – E’ partita la raccolta differenziata dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), ma non tutti ancora sanno bene come muoversi per smaltire questo tipo di rifiuti. Il consorzio EcoR’it, responsabile, per le oltre 600 aziende associate, della gestione delle attivita’ di trasporto, trattamento, riciclo, recupero e smaltimento dei RAEE professionali e domestici ha recentemente organizzato, in occasione dello Smau di Milano, una serie di workshop sulla corretta gestione di questo tipo di rifiuti. Attualmente si producono e si vendono circa 800 mila tonnellate di apparecchiature elettriche ed elettroniche all’anno, pari ad una media di 14 kg per abitante. Solo pero’ 1,5 kg pro capite di questo tipo di rifiuto viene sottratto alla discarica e portato negli impianti di trattamento operativi. L’obiettivo e’ quello di arrivare ai 4 kg per abitante previsto dalle normative europee.
”Costi minori grazie alle economie di scala garantite dai grandi volumi conferiti dai 600 membri e’ solo uno dei possibili vantaggi sia per le aziende associate e sia per i consumatori – sottolinea Giulio Rentocchini, presidente EcoR’it – EcoR’it nasce infatti come progetto pilota, su iniziativa volontaria, di gestione dei rifiuti professionali dell’Information Tehnology. In seguito ha assunto la struttura di Consorzio”. Nei primi otto mesi di attivita’, il Consorzio EcoR’it ha avviato a recupero e riciclo oltre 1.000 tonnellate di Raee domestici e circa 100 tonnellate di Raee professionali raggiungendo con il proprio servizio piu’ di 1000 comuni italiani e circa 1 milione 700.000 abitanti.
Inoltre il Consorzio EcoR’it ha istituito oltre 100 Punti di Raccolta su tutto il territorio nazionale ai quali i Clienti/Disributori/Centri di Assistenza dei soci EcoR’it potranno conferire i Raee direttamente o mediante trasportatori autorizzati EcoR’it.
”L’accordo di programma siglato da EcoR’it con l’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) per la raccolta dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche – aggiunge Rentocchini – e’ un importante passo avanti verso il raggiungimento di quota 4 kg di raccolta Raee per abitante, obiettivo che ci porterebbe in Europa. Non solo, e’ un utile strumento per la definizione di una piattaforma operativa con la Grande Distribuzione e la Distribuzione organizzata”. (ANSA).

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Dopo anni, anzi decenni di euforia e consumo apparentemente illimitato ci si rende conto che molti comportamento non sono sostenibili. Tra questi anche le attività di produzione, di uso e di eliminazione dei calcolatori.  Oggi il computer dimostra di arrecare un impatto ambientale sempre più significativo. Un libro di Giovanna Sissa racconta di computer obsoleti, ma ancora perfettamente funzionanti, svelando qualche segreto per renderli più longevi: Il computer sostenibile. Riduzione dei rifiuti elettronici riuso dei pc e open source. (Franco Angeli Editore, 2008, 144 pagine, 15 euro). Si parte dalla fine, cioè dai rifiuti elettronici e dal loro smaltimento, dagli influssi negativi per la salute e l’ambiente, per poi illustrare che, spesso, è il software, non l’hardware, a essere superato. Il libro dimostra, con alcuni casi concreti, che il software open source è quello meglio capace di ritardare la morte dei computer. Spiega Giovanna Sissa, nel sito Forum PA 2008: “Le implicazioni ambientali dell’ICT non sono state oggetto della stessa attenzione dedicata agli aspetti economici, tecnologici e sociali. A lungo ignorati i milioni di tonnellate di rifiuti elettronici hanno oggi nel mondo un nome sinistro: e-waste (spazzatura elettronica). I rifiuti del settore IT mostrano il più alto tasso di crescita fra i rifiuti municipali e industriali. L’impatto ambientale dei rifiuti elettronici è stato sottovalutato nel primo mondo perché spesso esportati nel terzo. I computer contribuiscono alla emissione di CO2 più di quanto si pensi. Costruirli richiede una notevole quantità di energia e materie prime non rinnovabili. I PC contengono sostanze considerate tossiche per l’ambiente e non biodegradabili. La rilevanza ambientale discende poi anche dai consumi di energia durante il funzionamento e dallo smaltimento a fine vita.”

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Obama riusa i rifiuti

Non facciamone un mito, per carità.

Nel miglior dei casi sarà “solo” il presidente degli Stati Uniti d’America – e per di più in un’epoca nella quale l’economia, la politica e l’ecologia passano soprattutto per altri paesi.

Però, un candidato che si interessa anche di rifiuti – per ridurre, riusare e riciclare – è musica per le nostre orecchie. (Per non dire del fatto che ne parla nel suo blog!)

Obama parla di nuove generazioni, scenari, riuso … anni luce dall’approccio “è un’emergenza” che tanto fa presa sugli elettori italiani. Naturalmente, per il candidato democratico è facile appoggiarsi alla cultura kennediana di “quello che tu puoi fare per lo Stato”. Ma certamente per noi è proprio desolante vedere che da noi di rifiuti si interessano solo quelli che in realtà vivono di sussidi pubblici, vale a dire delle nostre tasse, come dice anche Matteo Incerti.

Ha da passà a nuttata.

(danielegouthier)

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Premetto che non sono contrario al nucleare per principio. Ma dato che sono portato a fare sempre i conti con i numeri, evitando atteggiamenti talebani, intendo rilevare alcune incongruenze. Intanto non mi sembra corretto confrontare il nucleare alle rinnovabili senza tenere conto dei costi per l’approvigionamento della materia prima. Con le fonti fossili (uranio, carbone, gas e derivati del petrolio) la produzione del carburante si separa dal suo utilizzo, per questa ragione spesso si dimentica di calcolare i costi relativi all’estrazione e al trasporto, cui nel caso in questione si devono aggiungere i costi relativi alle misure di sicurezza per il trasporto stesso, senza parlare di quelli attinenti le operazioni di trasformazione per produrre l’ossido di uranio. Parlando di prezzi, poi, non dimentichiamo che, dal 1998 a oggi, il prezzo dell’ uranio è passato da 10 a 140 dollari per libbra (Fonte: Uranium Historical Price Graphs).

Scrive bene Sergio Zabot (I costi ambientali dell’atomo, 4 febbraio 2008, blog qualenergia.it):”se un gran numero di centrali fosse costruito per soddisfare la crescente domanda di elettricità, le riserve conosciute di minerale con alte concentrazioni di uranio (High-grade ores, con contenuto di uranio maggiore dello 0,1%) si esaurirebbero rapidamente, lasciando enormi riserve di minerale a bassa concentrazione (Low-grade ores con meno dello 0,1% di uranio), per la maggior parte delle quali occorrerebbe più energia per utilizzarle di quanto se ne ricaverebbe dai reattori.”

Poi sento dire che in Italia le centrali nucleari servirebbero a sostituire il petrolio come fonte di energia elettica. Strano: nel nostro Paese la quota di energia elettrica prodotta bruciando derivati dal petrolio (valori provvisori 2007, Fonte: TERNA) è sotto il 7%. Perché impegnarsi nella costruzione di centrali costose, problematiche dal punto di vista sociale, e impegnative per quel che concerne la sicurezza e lo smaltimento delle scorie, solo per il 7%. C’è qualcosa che non quadra.

E le emissioni di CO2? Scrive ancora Zabot: “In realtà, contabilizzando correttamente tutta la CO2 emessa nei vari processi di lavorazione, una centrale nucleare alimentata da minerale “High-grade” emette tra un quarto e un terzo della CO2 prodotta da un ciclo combinato a gas. Ma questa fortuna dura solo fino a quando durano i minerali ricchi di uranio. Poi il ricorso a minerali meno ricchi di uranio porterebbero all’emissione di quantità di CO2 maggiori di quella degli impianti a gas.”

Vogliamo parlare dei costi? Allora facciamo seriamente, tenendo conto di tutti i fattori. A proposito, il Ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, il 5 giugno ha dichiarato all’ADNKronos: “pensiamo anche che si debba investire nelle rinnovabili, ma sappiamo che con i sistemi che si adottano oggi facendo il massimo dello sforzo riusciremmo a coprire a stento il 10% del fabbisogno nazionale.”

Ora, capisco che si possano fare dichiarazioni a caldo (il Ministro parlava subito dopo l’allarme per l’incidente alla centrale nucleare di Krsko, in Slovenia) ma i numeri sono numeri. Intanto le rinnovabili, oggi, producono il 16% dell’energia elettrica (valori provvisori 2007, Fonte: TERNA). In secondo luogo, vorrei proprio capire cosa intende il Ministro quando afferma “facendo il massimo dello sforzo”. Ho motivo di credere che lo sforzo non sarà massimo, dato che una parte (comprese le minori entrate derivanti dagli incentivi di cui ha parlato il ministro Scajola: «Ci saranno grandi benefici per i cittadini che avranno il disturbo psicologico di ospitare un impianto nucleare: dovranno pagare molto meno e avere bollette più leggere») dovrà necessariamente essere assorbita dal proclamato ritorno al nucleare. Sono convinto che con il massimo dello sforzo, ma davvero il massimo, si arriverebbe a percentuali molto ma molto più alte. “Una massiccia conversione degli impianti a carbone. petrolio, gas naturale e nucleare in impianti a energia solare potrebbe fornire il 69 per cento dell’elettricità e il 35 per cento dell’energia degliStati Uniti entro il 2050.” Il grande piano solare, Le Scienze, marzo 2008.

Che lo sforzo sia con voi!

Andrea Mameli, Cagliari, 11 giugno 2008

Per approfondire:

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Rifiuti misti, scorie nucleari, questioni energetiche: tutti temi che la stampa italiana cura a ondate. A quanto pare in mancanza di eventi catastrofici (o presunti tali) e soprattutto in assenza di cortocircuiti informativi politica-tv i nostri grandi giornali si mantengono sempre sotto il livello di galleggiamento. E pensare che nello stato nordamericano dello Utah (dove un tempo era Far West) oggi c’è una comunità civile in fermento per via di un bel pacco di scorie radioattive in partenza dall’Italia. Avete capito bene: rifiuti nucleari italiani destinati agli Usa.

Giornali locali, come The Salt Lake Tribune, titolano Utahns organizing opposition to Italian nuclear waste plan. Associazioni ambientaliste (The Healthy Environment Alliance of Utah) lanciano chiari appelli: Say “No, Grazie!” to Italian nuclear waste

Come non pensare, dunque, che la causa del silenzio italico non risieda nella terribile sindrome del Non in my backyard (Non nel mio cortile)? Come non immaginare che tacere può essere il modo più semplice per evitare di affrontare argomenti spinosi, come quello dell’energia nucleare (che puntualmente, a ogni consultazione elettorale, riaffiora in maniera scomposta e assai poco razionale, da una parte e dall’altra)?

I fatti sono questi. L’Italia, 20 anni dopo il referendum, ha ancora 58000 m³ di scorie nucleari così distribuite: 50.000 metri cubi di rifiuti radioattivi di prima e seconda categoria e 8.000 metri cubi dirifiuti radioattivi di terza categoria (fonte: Audizione del generale Carlo Jean alla Commissione bicamerale d’inchiesta sui rifiuti, 23 febbraio 2003). Di questi 36000 m³, pari a 20000 tonnellate, sono destinati allo Utah. Il blog italiano Ecoalfabeta descrive il viaggio che questo pacco radioattivo dovrebbe compiere da una parte all’altra del pianeta: 13 mila km in nave, fino alla Lousiana, poi 500 km in treno fino all’impianto di trattamento delle scorie di Bear Creek (Tennesse) e infine altri 2200 km in treno fino alla discarica di Clive (Utah). Ogni giorno i siti dei giornali Usa ci regalano qualche novità. Solo i nostri tacciono. Resteranno muti fino alla fine?

Andrea Mameli, Cagliari, 4 marzo 2008.

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mumbai-gateway.jpgL’India è spesso un paese sorprendente, almeno per me. Sono stato a Delhi e Mumbai e nient’altro. In entrambe le città ho visto rifiuti ovunque e mi è stato detto che gran parte del problema viene risolto dai poveri che raccolgono chi le lattine, chi la carte, chi la plastica … e le vendono a microsocietà che ne fanno uso e riuso. Spontaneo e caotico ma comunque in qualche modo funzionante – dico in qualche modo perché questa politica non evita enormi quantità d’immondizie un po’ ovunque. Era il 1999.

Oggi mi capita di sentire a Radio Rai 1, che la città di Mumbai – dicesi 23 milioni di abitanti – ha istituito la figura di un apposito vigilante che multa chi disperde immondizia: dallo sputo alla cartaccia, alla carcassa di automobile o di animale. Le indicazioni? Inflessibilità nelle zone finanziarie e internazionali della città; educazione in quelle poverissime dove i cittadini vanno guidati verso comportamenti più economici ed ecologici, senza vessarli.

Obiettivo: avere un vigilante ecologico ogni 500 abitanti nel 2010.

Motivazioni: 1) non si può andare avanti così; 2) gestire bene i rifiuti conviene.

A me viene il suggerimento di osservare come va e poi se è il caso di importare in Italia una buona pratica.

(danielegouthier)

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Post veloce solo per segnalare uno studio del Mulino che presto uscirà ma che è già disponibile come anticipazione.

Un po’ di pensieri oltre al solito fragoroso rumore mediatico.

Buona lettura.

(danielegouthier)

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C’era una volta una casa sporca. Così sporca che l’amministratore di condominio decise di intervenire per farla pulire. Ma dovette chiedere una mano agli altri condomini perché la spazzatura accumulata era davvero troppa. Non tutti furono felici di seguire le indicazioni dell’amministratore, lamentandosi per il comportamento del condomino poco pulito, ma l’emergenza era tale che sarebbe stato irresponsabile tirarsi indietro. Certamente lasciar accumulare in questo modo la spazzatura dentro la propria casa non va bene: furono presi provvedimenti perché non accadesse più. Ma non si poteva restare a guardare i cumuli di spazzatura.

Quanto che sta accadendo in questi giorni con quelle 300 mila tonnellate di spazzatura accumulata a Napoli impone, brutalmente, alcune riflessioni.

In primo luogo l’emergenza rifiuti non è un meteorite piovuto dal cielo. Esistono gravi responsabilità: a vari livelli e in modi diversi, diverse cause hanno concorso nel determinare questa situazione. E non si tratta di un problema superficiale, se è vero che i rifiuti, al pari dell’acqua e dell’energia, sono i temi caldi del secolo, per tutto il pianeta. E, come rileva l’acuta analisi di Roberto Saviano (“Imprese, politici e camorra, ecco i responsabili della peste” La Repubblica, 5 gennaio 2008): “Gli ultimi dati pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità mostrano che la situazione campana è incredibile, parlano di un aumento vertiginoso delle patologie di cancro. Pancreas, polmoni, dotti biliari più del 12% rispetto alla media nazionale. La rivista medica The Lancet Oncology già nel settembre 2004 parlava di un aumento del 24% dei tumori al fegato nei territori delle discariche e le donne sono le più colpite. Val la pena ricordare che il dato nelle zone più a rischio del nord Italia è un aumento del 14%.”

In secondo luogo questa di Napoli sarà una lezione per tutti: senza raccolta differenziata non si va da nessuna parte.

Non dimentichiamo, infine, che non viviamo in un sistema chiuso, ciascuno nella propria città. Esportiamo e importiamo continuamente aria, acqua, cibi, persone, malattie e rifiuti. Per questo appare abbastanza insensata la protesta di chi non vuole aiutare a ripulire una città. Non possiamo, onestamente, storcere il naso per qualche tonnellata di rifiuti in più. Sarebbe come se, in una stanza, si chiedesse agli altri di non respirare. Certo, si può chiedere di evitare emissioni gassose di natura fisiologica o di non fumare, ma il respiro non si può negare a nessuno.

Nella regione in cui abito, la Sardegna, accoglieremo circa 5 mila tonnellate di rifiuti campani. Una quantità pari a quella prodotta dall’intera isola in due giorni. Senza contare che i nostri rifiuti speciali, non smaltibili in loco, varcano il mare e vengono spediti in altre regioni. In Sardegna, grazie alla raccolta differenziata, dal 2004 al 2007 il quantitativo di rifiuti prodotti si è dimezzato. E le ultime stime danno la mia regione al primo posto al sud Italia per la raccolta differenziata (i dati aggiornati – Rapporto rifiuti 2007 – saranno presentati il 6 febbraio nella sede dell’Agenzia per la protezione dell’Ambiente (Apat). La quota che smaltiremo noi non mi sembra affatto preoccupante. Proprio perché non viviamo in un sistema chiuso.

Andrea Mameli, Cagliari, 12 gennaio 2008

P.S. Ho sentito voci di dissenso, rispetto alla decisione di accettare rifiuti napoletani, da parte di esponenti politici della mia città. Qualcuno ha parlato di cattiva immagine per Cagliari e per la Sardegna. A mio modesto parere la cattiva immagine non la fornisce certo l’aver accolto aliga (il nostro modo di dire spazzatura) prodotta da altri. La forniscono invece altri atteggiamenti, come quello rilevato da BBC News: Arrests in Sardinia waste clashes: Six protesters have been arrested in Sardinia after clashes with Italian police over tonnes of rubbish shipped to the island from Naples o da Al Jazeera: Al Jazeera: Violence in Sardinia over rubbish.

P.S. 2 Le proteste contro i rifiuti provenienti da Napoli costituiscono un caso da manuale del cosidetto effetto NIMBY (Not In My Back Yard): cioè fate pure le discariche, i termovalirizzatori, gli inceneritori, tutto quello che serve purché non lo facciate nel mio giardino (o letteralmente nel cortile sul retro di casa). Si tratta a mio avviso di proteste largamente ingiustificate, frutto di scarsa conoscenza dei fatti. Ma uno dei problemi risiede proprio in questo deficit di comunicazione. E lo scarso coinvolgimento delle popolazioni e degli amministratori locali (e le contemporanee, colpevoli, azioni di disinformazione) hanno ingigantito il problema. Ancora una volta paghiamo il prezzo di non aver considerato importante comunicare (i fatti, la scienza, il rischio, le cifre) e così chi intendeva cavalcare la protesta ha avuto gioco facile.

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Roberto Saviano è un giovane coraggioso, uno scrittore lucido e non ha paura di dire che il re e nudo. È quello che fa in questo articolo su Repubblica: Imprese, politici e camorra ecco i colpevoli della peste.

Ci sono i numeri caldi e pulsanti dei tumori e delle morti: in quantità abnorme per un territorio tanto circoscritto. Ma c’è soprattutto l’indice puntato contro le imprese del Nord-Est (cioè di qui, dal punto di vista di chi scrive).

E poi c’è il sottofondo, il non detto, il costume di tutti noi, l’abitudine, l’inerzia, i consumi esagerati e incontenibili, la forma mentis arcaica e sporcacciona.

Insomma, leggete Saviano ché la peste e alle porte.

(danielegouthier)

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